L’intensità e la tempestività delle notizie sulle crisi umanitarie possono indurre i governi a investire budget più alti del previsto negli aiuti per un determinato Paese, anche se al contempo sono in atto situazioni più gravi altrove
Può un articolo del New York Times influenzare la destinazione di centinaia di migliaia di dollari in aiuti umanitari? Se lo sono chiesti tre ricercatori, Martin Scott, Kate Wright e Mel Bunce. La risposta è sì: in determinate circostanze, l’attenzione dei media ha determinato un aumento dei fondi per crisi umanitarie non più gravi di altre. È stato però riscontrato anche un paradossale effetto opposto: la mancata copertura mediatica di alcune crisi di lungo periodo ha portato i funzionari a pensare che fosse necessario un investimento maggiore in quei contesti dimenticati.
Come i media scelgono quali crisi raccontare e quali no
I media selezionano le crisi umanitarie in base al loro potenziale impatto emotivo. Eventi associati a immagini chiare e drammatiche ottengono spesso una copertura mediatica intensa. Ne è un esempio l’esplosione di Beirut del 2020. Chi sa, invece, cosa accade in Yemen dal 2014? Nel Paese è in corso una lunghissima e lacerante guerra civile, della quale tv e giornali parlano poco per due ragioni: è difficile ottenere informazioni e spiegarle al pubblico, ed è passato troppo tempo da quando la guerra ha avuto inizio. Stiamo parlando di una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi anni, secondo quanto affermato dalle Ong. E a pagare il prezzo più alto sono civili e bambini. Save the Children riporta che, solo tra il 2018 e il 2020, sono morti 2.341 minori.
Le premesse della ricerca
Scott, Wright e Bunce hanno notato come alcuni appelli delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari ottengano un ottimo riscontro (ad esempio per Iraq e Libano), mentre altri ricevono una percentuale ridottissima dei finanziamenti richiesti (Venezuela e Sud Sudan). Un fatto che trova riscontro in precedenti ricerche che hanno identificato chiare correlazioni tra la copertura giornalistica ricevuta da una crisi e gli stanziamenti di aiuti pubblici. Ad esempio, uno studio ha mostrato che ogni notizia aggiuntiva sul New York Times su un disastro è associata a uno stanziamento di aiuti extra. Chiaramente, il nesso di presunta causalità necessita di ulteriori verifiche. Per questo, il team di ricerca degli autori ha intervistato 30 funzionari incaricati di elaborare politiche sull’assegnazione degli aiuti umanitari.
Notizie d’impatto e stanziamenti economici
I funzionari hanno confermato che, in alcune circostanze, la diffusione di notizie ha determinato un aumento dei livelli di aiuti umanitari, indipendentemente dal fatto che la crisi lo meritasse o meno. In che modo? Il passaggio chiave è l’attivazione dell’opinione pubblica e di organizzazioni della società civile che, stimolati dei media, fanno pressione sui governi. I quali, si sentono in dovere di fornire risposte concrete. Specialmente nei casi in cui le immagini e le notizie si propagano rapidamente e all’improvviso, senza lasciare a chi di dovere il tempo di elaborare e comunicare una politica più precisa e articolata. Chiaramente, non tutti i media hanno lo stesso peso. Determinanti si sono rilevati i canali d’informazione nazionale, come appunto il New York Times, più delle grandi reti internazionali come BBC o CNN. La ragione è semplice: ai politici preme il consenso all’interno del Paese che li deve eleggere.
Le crisi umanitarie a lungo termine
Tuttavia, questo effetto sembra verificarsi solo in caso di budget relativamente ridotti per gli aiuti umanitari di emergenza. Al contrario, le assegnazioni annuali di aiuti umanitari – che sono molto più ingenti nonché indirizzate a crisi prolungate – non sono influenzate dalla copertura giornalistica. Questo perché gli interventi sul lungo periodo permettono di pianificare comunicazioni strategiche per spiegare gli stanziamenti di aiuti, piuttosto che adeguarli Addirittura, in alcuni casi si è verificato l’effetto opposto: la mancanza di copertura giornalistica di alcune crisi è stata vista di funzionari come indicazione della necessità di dare di più a queste “crisi dimenticate”, come in Myanmar e nel Sahel.