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Fatti o spiegazioni? Il compito del giornalismo oggi

Più del chi, cosa, dove, quando e perché, oggi conta il come. Da una parte, nel tentativo di inquadrare concetti spesso molto complessi fornendo dei punti di riferimento. Dall’altra, indugiando su aspetti e ipotesi non sempre necessari alla completezza dell’informazione

Negli ultimi anni, una parte del giornalismo digitale si è orientata sempre più marcatamente verso la spiegazione di fatti ed antefatti. Anziché limitarsi a riportare quanto accaduto, si forniscono al lettore informazioni supplementari utili ad inquadrare il fatto all’interno del contesto più complesso al quale questo appartiene. Gli strumenti per farlo sono molteplici: schede riassuntive, infografiche, tabelle, oltre al classico “passo indietro”. In questo processo, tuttavia, diventa più difficile mantenere un approccio oggettivo, privo di interpretazioni e non orientato dalle opinioni. Specie quando si affrontano argomenti vasti e delicati (pensiamo ad esempio al conflitto israelo-palestinese). Come muoversi, dunque, per offrire un’informazione corretta?

Dal cosa al come

La regola delle cinque W (Who, What, Where, When, Why) è alla base del giornalismo anglosassone, storicamente caratterizzato da una maggiore obiettività e da uno stile asciutto. Oggi, spesso, si indugia invece soprattutto sul Come. Talvolta fornendo dati utili come punti di riferimento, in altri casi ampliando il raggio delle ipotesi anche in assenza di certezze (o soprattutto in assenza di certezze, come sta accadendo proprio in questi giorni rispetto al caso del ritrovamento del piccolo Nicola). Uno degli esempi italiani più vicini invece alla prima situazione, ovvero alla volontà di fornire più dati e informazioni possibili, è Il Post, che non a caso spesso aggiunge la frase “spiegato bene” ai suoi titoli. La statunitense Vox ne ha fatto il suo modello editoriale, con l’inequivocabile sezione spiegazioni. L’obiettivo di dichiarato è la completezza e la chiarezza dell’informazione.

Numeri, dati e mappe

Il digitale ha offerto la possibilità di integrare la narrazione con risorse e strumenti interattivi che permettono di raccogliere e illustrare le informazioni in modo più diretto. Da una parte, oggi è possibile l’accesso immediato agli archivi e a un’enorme mole di informazioni. Dall’altra, c’è anche da considerare l’elemento “ludico”, o comunque piacevole all’utilizzo da parte degli utenti degli strumenti interattivi. L’aspetto quantitativo del giornalismo qui diventa centrale. Ne è un esempio la newsletter Data is Plural, che mette in evidenza set di dati utili o anche soltanto curiosi. Oppure The Pudding, una pubblicazione digitale che entra nel merito del dibattito culturale spiegando alcuni concetti attraverso animazioni, mappe interattive coinvolgenti e divertenti e infografiche dal forte impatto visivo.

Il cambiamento sulla carta stampata

L’evoluzione del giornalismo in questa direzione non riguarda solo il digitale, ma è stata preceduta da un cambio di passo già nella carta stampata. Uno studio della Columbia University citato da NiemanLab ha analizzato le prime pagine di New York Times, Washington Post e Milwaukee Journal Sentinel tra il 1955 e il 2003, notando come il cosiddetto “giornalismo contestuale” (una storia che contiene analisi, interpretazioni o spiegazioni) sia passato da un 10% a oltre la metà dei contenuti. A farne le spese, il giornalismo tradizionale, il racconto dell’accaduto. Si potrebbe affermare che l’assoluta imparzialità non esiste neppure nella lineare esposizione dei fatti; e che, allo stesso tempo, una società complessa come quella attuale richieda perlomeno un tentativo di approfondimento: il dibattito sulla bontà di questa evoluzione, naturalmente, è aperto.