Covid in Africa: raccontare la pandemia in assenza di dati

Il Covid ha colpito l’Africa, ma senza dati è impossibile comprendere l’entità della situazione. L’unica strada percorribile sembra essere il racconto di singole storie

Stando ai dati ufficiali e all’informazione giornalistica mainstream, sembra che in Africa il Covid quasi non esista. Purtroppo non è così: il fatto è che non esistono i dati. Le morti, in generale, vengono registrate solo in minima parte, con differenze importanti tra uno Stato e l’altro. I decessi per Covid, in particolare, semplicemente non risultano. Affermare che il fenomeno sia sottostimato, dunque, è un eufemismo. Come raccontare allora l’impatto della pandemia in un continente così vasto, variegato e segnato da problemi congeniti o di lunghissima data?

Un continente dove le persone non muoiono

La maggior parte delle morti, in Africa, non è registrata. In molti villaggi i defunti vengono seppelliti dai parenti nei pressi delle abitazioni. Non si parla di permessi, né di certificati di morte. Figuriamoci, quindi, quanto possano essere realistici i conteggi delle vittime per Covid in una simile condizione. Secondo il New York Times, nel 2017, in Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa, solo il 10% dei decessi è stato registrato. In America, Europa ed Oceania, la percentuale supera il 90%.

Dati e informazioni, le strade alternative

I singoli Stati cercano di sopperire alla mancanza di dati con ricerche che risultano però molto lacunose. Ad esempio, viene chiesto alle persone se ci sono stati dei decessi nel proprio nucleo familiare e per quale causa. Alcuni ricercatori svolgono indagini telefoniche, in altri casi hanno conteggiato le tombe da immagini satellitari. Addirittura, com’era già accaduto durante l’epidemia di Ebola, si tenta di reperire informazioni rivolgendosi direttamente alle pompe funebri. Un altro canale che può fornire qualche dato utile è quello dei social, dove le persone condividono in certi casi le notizie di morte. In ogni caso è evidente che nessuna di queste opzioni, né il loro utilizzo combinato, può restituire un’immagine veritiera della situazione.

Dai dati alle storie

L’unica strada effettivamente percorribile, sembra essere quella del racconto di singole storie. Un approccio legato allo storytelling attraverso il quale trasmettere un’immagine che si avvicini alla realtà. Lo fa il Pulitzer Center con il progetto Outbreak: Africa’s Data Journalism Alliance Against Covid-19, che promuove incontri tra giornalisti di diverse parti del mondo e raccoglie aggiornamenti e narrazioni sul tema del Covid in Africa. Ciò che appare immediatamente chiaro è che non è possibile, quando si parla dell’Africa, affrontare l’argomento slegandolo dagli altri problemi che affliggono il continente.

In secondo luogo, non si possono applicare i parametri e i contenuti che si utilizzano in Europa, in America e in parte dell’Asia: a cosa serve affermare che lavarsi le mani è la difesa più importante contro il Covid quando milioni di africani non hanno accesso all’acqua? Le storie raccolte in questo portale non hanno la pretesa di sopperire alla mancanza di dati, ma perlomeno forniscono qualche chiave di lettura. Dai laboratori per ragazze organizzati in Kenya quando le scuole hanno chiuso, rendendole vulnerabili agli abusi sessuali, ai tentativi di fornire un’educazione online in Nigeria. Un’altra importante risorsa è rappresentata dalla Mo Ibrahim Foundation, che ha realizzato una ricerca molto dettagliata, orientata in particolare alle ricadute del Covid in Africa per i giovani.

Non si può raccontare “una singola storia”

“L’Africa è un continente con 54 Stati, 1,1 miliardi di abitanti e un’enorme varietà di comunità e culture diverse”. Lo ricorda Amref, sottolineando un terzo elemento fondamentale da tenere in considerazione quando si affronta il tema della comunicazione sull’Africa in tempi di Covid: non ha senso parlare dell’Africa nel complesso, perché da uno Stato all’altro la situazione varia in maniera sostanziale. Ad esempio, “ci sono pochissimi parallelismi da tracciare tra l’esperienza del Senegal – che ha agito rapidamente per chiudere i confini e implementare un lockdown – e quella della Tanzania, la cui risposta è stata difficile da valutare sia per i media locali che internazionali”. L’indicazione è quella di concentrarsi sui singoli Paesi, contestualizzando le informazioni. Allo stesso tempo, la pandemia può essere l’occasione per dare spazio a nuove voci e aprire un dialogo con l’Africa, riportando storie e prospettive diverse nella loro complessità.