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Afghanistan, la lotta per la sopravvivenza dei media locali

A cento giorni dalla presa di potere dei talebani, 250 giornali, radio e televisioni hanno chiuso e il 70 per cento dei giornalisti ha perso il lavoro. La censura si allarga di giorno in giorno, il controllo è totale: esercitare la professione giornalistica è praticamente impossibile

Tempo fa abbiamo parlato dei rischi per il giornalismo in Afghanistan in seguito all’ascesa al potere dei talebani. A qualche mese di distanza, la situazione si è evoluta, come previsto, in negativo. Secondo quanto riporta il Guardian, citando i dati dell’agenzia di stampa afghana NAI, più di 250 giornali, radio e televisioni hanno chiuso nei primi 100 giorni del nuovo governo, e il 70 per cento dei giornalisti ha perso il lavoro.

Programmi vietati e soap opera cancellate

La censura da parte del regime talebano non si limita alla realizzazione di inchieste e alla diffusione di notizie scottanti. Sono stati vietati tutti i contenuti ritenuti “audaci”, tipici delle soap opera, che sono quindi state cancellate dalla programmazione di radio e tv. Inoltre, i talebani hanno limitato moltissimo la presenza delle donne in televisione, anche in qualità di attrici. Tutti i film “contrari ai valori islamici o afghani” sono vietati e le giornaliste sono obbligate a indossare lo hijab. Tra l’altro, sul fronte dei diritti di cui sono private le donne, va ricordato che alle ragazze di età superiore ai 12 anni è vietato studiare.

Tutte queste restrizioni stanno determinando, di fatto, la chiusura di diverse emittenti, perché in assenza dei loro programmi preferiti le persone smettono di guardare la tv e di ascoltare la radio. Agha Sher Munar, proprietario della popolare Radio Sanga, sentito dal Guardian, ha detto di aver persol’80% dei suoi ascoltatori (che prima raggiungevano il milione e mezzo) e di essere stato costretto a licenziare un terzo dei giornalisti.

Censura e controllo

I talebani hanno costretto le redazioni a trasmettere i loro comunicati ufficiali e a inviare a loro, prima di diffonderla, qualsiasi news. È ormai inutile recarsi sul posto in cui sta accadendo un fatto potenzialmente rilevante, dal  momento che non si può raccontare ciò a cui si assiste. Ed è in ogni caso necessario richiedere un’autorizzazione preventiva, anche per un semplice sopralluogo. Autorizzazione che, regolarmente, arriva quando ormai non c’è più nulla da vedere. Di fatto, è impossibile esercitare la professione giornalistica .

Un colpo tremendo a un Paese che, nonostante le gravi difficoltà, era riuscito finora a conservare un’orgogliosa e valida stampa libera. Oggi, anche i giornalisti più combattivi sono stati costretti a cedere, decidendo in molti casi di lasciare il Paese. Le giornaliste rimaste sono state semplicemente licenziate. Anche Beheshta Arghand, la giornalista salita alle cronache per aver intervistato in diretta un esponente del regime, ha lasciato l’Afghanistan. Non è un caso che si senta parlare già molto meno (praticamente per nulla) di un Paese sull’orlo di una catastrofe umanitaria devastante.

Le regole non scritte

Oltre alle norme ufficiali c’è poi tutto un sottobosco di regole non scritte che spesso si traduce in minacce, arresti e pestaggi.  Molti divieti vengono comunicati verbalmente, ma ciò non significa certo che siano meno efficaci. Per un giornalista può essere molto pericoloso anche esprimere un’opinione personale tramite il proprio profilo Facebook privato. La tecnica dei talebani consiste nel diffondere paura. Ad esempio, anche il divieto di ascoltare musica è stato semplicemente comunicato a voce. Ma le persone hanno paura di accendere l’autoradio anche quando viaggiano da sole. In situazioni ufficiali, come i matrimoni, diffondere musica significa rischiare la vita.  Andando avanti così, le stazioni radiofoniche, le emittenti televisive e le testate non sopravvivranno.